Urbanistica Città di Parete (Ce) a cura di Raffaele2012

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POST 52.3 – Perché un numero massimo di due figli?

Il tetto massimo di due figli ipotizzato dal sottoscritto nel post 52 (ma ribadito pure nel successivo messaggio 53) non è frutto di un capriccio lontano da qualsiasi logica, ma rimanda alla soglia che separa una qualsiasi popolazione in sovrannumero da un’altra collettività che si mantiene in ‘equilibrio demografico’ o che vira prudentemente verso la decrescita.

Allo scopo di far meglio comprendere il senso di quanto appena affermato, nelle righe immediatamente sottostanti il sottoscritto ragionerà attorno al concetto di tasso di fecondità totale (TFT), nonché attorno al numero di coppie e di nuclei monogenitorali, con particolare riferimento alla provincia di Caserta, di cui fa parte Parete.

Si passa ora al dunque.

Da una rapida lettura sul sito internet dell’Istat (http://www3.istat.it/servizi/studenti/v ... azione.htm), si ha modo di apprendere che il tasso di fecondità totale indica il numero di figli che una donna mette mediamente al Mondo nella fascia di età compresa fra i 14 e i 49 anni. Ebbene, navigando ancora qua e là sul web, si apprende che una determinata situazione demografica è in equilibrio quando tale tasso risulta pari a 2. Viceversa, si parla di sovrappopolamento se il valore risulta superiore a 2, e di decrescita se esso risulta inferiore a 2.

A riguardo della specifica realtà di Parete, il sottoscritto (molto probabilmente per colpa propria) non è riuscito a carpire l’esatto ammontare del tasso di fecondità totale. Ciò malgrado, diventa possibile farsi un’idea osservando le cifre riferite al Casertano, alla Campania, al Meridione e all’Italia. Per l’esattezza, la situazione al 2011 (anno dell’ultimo Censimento generale effettuato dall’Istat) vedeva Terra di Lavoro con un indice pari a 1,43 (cioè 1,43 figli in media per ciascuna donna), il quale era esattamente pari a quello regionale (1,43), appena dietro quello della provincia di Napoli (1,5), nettamente superiore a quello del Sud dello Stivale (1,36) e pressoché in linea con quello nazionale (1,44).

Stando in cotal modo le cose nel 2011, qualcuno potrebbe sostenere la tesi di un eccessivo fervore dello scrivente rispetto all’ipotesi di promuovere, in primis su scala locale, una mentalità collettiva volta al concreto contenimento delle nascite. Ma non è cosí, anzi.

Volendo limitare il campo d’indagine a Terra di Lavoro, infatti, i dati dell’ultimo Censimento generale, fanno notare come vi fossero già allora ben 26.169 coppie aventi tre o piú figli (12,63% del totale). Quindi, mancando pubblicazioni in grado di precisare ulteriormente il numero di pargoli discendente da coniugi o conviventi (3, 4, 5, 6, ecc.), si può sostenere che, come minimo, risultava un eccesso di 26.169 abitanti/figli.

Al conto andrebbe poi aggiunta quella parte dei 14.604 nuclei monogenitorali aventi anch’essi tre o piú figli; tuttavia la relativa statistica Istat comincia da due e quindi non aiuta a capire a quanti dei suddetti nuclei era associabile un esatto numero di frugoletti (2, 3, 4, 5, 6, ecc.).

Malgrado queste carenze informative, comunque, per Terra di Lavoro si può provare a ipotizzare (seppure con forte approssimazione) la presenza di un 30.000 abitanti/figli in eccesso rispetto a una situazione di equilibrio complessivo già nel 2011.

Tenendo poi conto che la provincia di Caserta comprende 104 comuni, diventa possibile sostenere (seppure ancora imprecisamente) come già nel 2011 ciascun tenimento locale vantasse mediamente 288 persone/figli in piú rispetto al limite massimo che uno svolgimento demografico intergenerazionale non dovrebbe mai superare: quello dei due pargoletti alla volta.

Insomma, già nel 2011, Parete non poteva non vantare almeno una percentuale di abitanti di troppo.



Fonti informatiche da cui sono state desunte le cifre evidenziate nel corrente messaggio:
  • circa il tasso di fecondità totale: http://dati.istat.it/ (cliccare poi sulla sezione “popolazione e famiglie” e sulle sottosezioni “natalità”, "indicatori di fecondità" e "serie storiche" che stanno nella colonna a sinistra di chi legge);
Ultima modifica di Raffaele2012 il lunedì 17 agosto 2015, 19:55, modificato 4 volte in totale.

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POST 53 – L’auspicata adozione di provvedimenti normativi per il contenimento delle nascite da parte delle istituzioni sovraordinate, a partire da quelle NAZIONALI

Malgrado la promozione di una “mentalità” su scala locale possa essere assai utile, il sottoscritto ritiene decisiva per davvero solo l’adozione di validi strumenti normativi da parte degli organismi istituzionali sovraordinati, a cominciare da quelli nazionali. Difatti è solo agendo in cotal guisa che, forse, si potrebbe fare qualcosa di concreto per il contenimento demografico in una regione sovraffollata come la Campania o, meglio ancora, in uno stato sovrappopolato (rispetto alle risorse materiali interne e alla struttura produttiva, agricola e manifatturiera, basata su unità di piccola e media dimensione) come l’Italia.

Per l’esattezza sarebbero fondamentali:

1) la possibilità di procreare soltanto dai 18 anni in su e, quindi, l’obbligo di aborto per le gravidanze legate ad età inferiori;

2) per ciascuna coppia sposata o convivente, il limite legale di due figli (indipendentemente dal sesso del nascituro e adozioni incluse);

3) per il nucleo famigliare con un solo genitore, il limite legale di due figli (indipendentemente dal sesso del nascituro e adozioni incluse);

4) per ciascuna coppia sposata o convivente in cui uno o entrambi i partner provengono da una relazione precedente (o da una situazione di vedovanza): il limite legale di un figlio (indipendentemente dal sesso del nascituro e adozione inclusa), se uno dei due partner ne ha già la paternità o maternità di uno;

5) per ciascuna coppia sposata o convivente in cui uno o entrambi i partner provengono da una relazione precedente (o da una situazione di vedovanza): impossibilità di avere un figlio, se uno o entrambi i partner hanno già la paternità o maternità di due pargoli;

6) l’obbligatorietà della vasectomia (sterilizzazione) di ogni singolo uomo che risulta legalmente padre di un secondo figlio, anche se quest’ultimo è stato adottato;

7) l’obbligatorietà dell’aborto selettivo nel caso di gravidanze con 3 o piú gemelli;

8) per ciascuna coppia sposata o convivente, nonché per ogni singolo uomo o donna, la possibilità di ricevere sgravi fiscali e/o sussidi nel caso in cui si decida di ricorrere volontariamente alla sterilizzazione dopo il primo figlio ovvero di non averne alcuno (secondo un principio ‘inedito’ legato al minor consumo di materie prime, a cominciare, ovviamente, dal suolo);

9) attraverso atti e fatti di rilevanza giuridica, un reale riconoscimento lavorativo e sociale della donna (che in zone come quella di Parete ancora in molti concepiscono unicamente come ‘angelo del focolare’ o come lavoratrice che dà solo “un‘entrata monetaria aggiuntiva” a quella realizzata dal consorte maschio).



A proposito di una paventata ipotesi di sterilizzazione anche femminile, tramite la c.d. “chiusura delle tube”, va precisato come la sua esecuzione possa comportare il ricorso a differenti tecniche, piú o meno invasive e con un’efficacia che potrebbe pure variare di caso in caso. Di conseguenza, il sottoscritto, in virtú delle sue poche conoscenze in fatto di medicina, preferisce non proporre esplicitamente una sua obbligatorietà legale all’interno del corrente messaggio.

Agli interventi prettamente normativi, ovviamente, sarebbe da affiancare una capillare attività di sensibilizzazione in grado di coinvolgere l’intera popolazione a partire dai piú giovani (14 anni in su) e capace di avvalersi di incontri pubblici (a partire dalle scuole), dei mass media (giornali, radio, televisioni, internet) magari, di un consapevole e financo entusiasta sostegno delle autorità religiose di ogni orientamento (cristiane e non).


In coda al messaggio, allo scopo di dare al lettore qualche delucidazione, si posta qualche link che si ritiene di facile comprensione:
1) http://vasectomiainfo.it/it/cose-la-vasectomia
2) http://www.ivanomorra.com/page.do?id=58
3) http://www.asf.toscana.it/index.php?opt ... &Itemid=60
Ultima modifica di Raffaele2012 il lunedì 17 agosto 2015, 20:03, modificato 3 volte in totale.

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POST 53.1 – L’opportunità di un’azione volta al contenimento delle nascite su scala NAZIONALE innanzi all’inefficacia del concetto di stampo capitalistico “piú figli piú consumi”

Politici, sedicenti esperti del settore commerciale e della finanza, intellettuali della penna calda ma dal cervello congelato, e perfino esponenti religiosi (in primis quelli cattolici) tendono spessissimo ad affermare che una delle ricette piú importanti per garantire ad uno Stato un benessere illimitato nel tempo consiste nel “mettere al Mondo un numero crescente di figli alfine di incrementare i consumi”.

Ebbene, per dimostrare l’inefficacia di tale concetto di stampo capitalistico, si può rimandare brevemente i lettori all’epoca contadina. Allora, infatti, padre e madre concepivano un maggior numero di figli anche allo scopo di incrementare la produzione ricorrendo a una minore quantità di salariati esterni. In questo modo, l’eventuale ricavo legato a un potenziale surplus di derrate destinato ai mercati non doveva subire troppe detrazioni legate ai costi e consentiva di accrescere, per quello che era possibile, il benessere psicofisico.

Per farla breve, Sorella Logica e Fratel Buon Senso aiutano rapidamente a dimostrare che il concetto di stampo capitalistico “piú figli piú consumi” è inefficace dato che non considera a sufficienza il momento della produzione ‘economica’, utile a creare, nella nostra era moderna, quella controprestazione monetaria capace di stimolare i consumi.

Quindi occorrerebbe affermare con maggiore correttezza “piú figli, piú produzione ‘economica’, piú consumi”, ma a patto che la produzione ‘economica’ (agricoltura, allevamento, pesca, artigianato, industria) di stampo capitalistica fosse per grandissima parte interna e non importata dall’Estero. Tuttavia, oggigiorno, proprio il peso demografico in aumento, l’abbattimento delle frontiere commerciali e l’applicazione massiccia delle tecnologie in termini di trattamento delle materie prime vanno a mettere gravemente in discussione la reperibilità nel breve, medio e lungo periodo delle risorse naturali nell’intero Pianeta (a cominciare dal suolo) e quindi la validità illimitata nel tempo dello stesso ulteriore schema “piú piú piú”.
Ultima modifica di Raffaele2012 il lunedì 17 agosto 2015, 19:34, modificato 6 volte in totale.

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POST 54 – Un’eventuale risposta a tutti coloro che, dotati di forte sensibilità religiosa (in primis ai cristiani di ogni orientamento), potrebbero dimostrarsi perplessi rispetto a un’ipotizzabile e auspicabile azione mirata al contenimento delle nascite

Specie le persone dotate di una rispettabile sensibilità religiosa (a cominciare dai cristiani di ogni orientamento) potrebbero nutrire delle comprensibili perplessità innanzi alla promozione capillare di una mentalità volta al concreto contenimento delle nascite.

A tal riguardo, però, si replica che è lo stesso Padreterno (creatore del Mondo per il credente) ad aver favorito nella Natura un meccanismo di selezione.

A dimostrazione di ciò, il sottoscritto si permette, in piena umiltà, di evocare un’immagine campestre a mo’ di esempio.
Ogni anno, poco tempo prima del raccolto, i contadini effettuano uno scrupoloso scarto delle pesche in eccesso sugli arbusti “a vaso” al fine di garantire una crescita migliore di quelle che restano. In cotal guisa, si ottengono dei frutti non solo piú grandi, ma, soprattutto, carichi di sostanze nutritive al punto giusto.
Per ogni persona dotata di buon senso, codesta pratica campagnola, a sua volta risultato di osservazioni maturate nei secoli, può essere vista come un ottimo caso di interazione Uomo-Natura che di certo non resterebbe estranea alla volontà creatrice dell’Onnipotente.

Insomma, bisogna ribadire come l’essere umano non sia estraneo né si collochi in una posizione di ‘superiorità’ rispetto all’ordine naturale di cui invece è parte integrante. In quest’ottica, il dono divino della vita andrebbe sempre considerato come un’occasione per acquisire una maggiore consapevolezza del “sano limite” che ciascuno dovrebbe porsi in relazione allo sfruttamento delle risorse disponibili, a cominciare dal suolo “vergine”.
Ultima modifica di Raffaele2012 il lunedì 17 agosto 2015, 20:21, modificato 1 volta in totale.

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POST 55 – Considerazioni messe a mo’ di chiusura del cerchio rispetto a quanto scritto a partire dal messaggio 51. L’ULTERIORE AUSPICIO CHE LE ISTITUZIONI NAZIONALI GESTISCANO IN TERMINI RESTRITTIVI IL FLUSSO DI STRANIERI IN ARRIVO VERSO L’ITALIA. RAPIDI ACCENNI SUL RUOLO RICOPRIBILE DAI SINGOLI COMUNI COME PARETE

L’Italia presenta un territorio non molto vasto (specie se paragonato a quello, ad esempio, degli USA) e già attualmente ‘consumato’ in maniera massiccia in termini speculativi, un impianto produttivo e commerciale basato sulle piccole e medie imprese di tipo famigliare, e un profilo storico-sociale che, nel bene e nel male, appare dotato di varie sfaccettature a livello zonale e perfino locale. In quest’ottica, al di là di ogni patetico perbenismo, di ogni immotivato razzismo e di ogni eccessivo catastrofismo, sarebbe quanto mai necessario che le istituzioni nazionali ricorressero a un modello di gestione fondamentalmente restrittivo del flusso di stranieri in arrivo verso l’Italia.

In linea generalissima, va sottolineato come il soggiorno degli stranieri in Italia dovrebbe essere soltanto temporaneo (massimo 6 mesi alla volta, ad esempio) e specificatamente motivato (studio, lavoro, turismo, e simili).

Tuttavia è sulle modalità di concessione della cittadinanza italiana che occorrerebbe un ulteriore irrigidimento, almeno a parere del sottoscritto.

In primo luogo, la cittadinanza del Belpaese dovrebbe essere limitata soltanto a coloro che nascono in Italia da uno ovvero entrambi i genitori italiani. Ciò implicherebbe, in particolare, la restrizione dello “ius soli” (diritto di cittadinanza per il semplice motivo di nascere sul suolo) unicamente ai soggetti i cui genitori fossero ignoti o apolidi.

In secondo luogo, sarebbe utile la cancellazione della norma che subordina l’acquisizione della cittadinanza italiana alla residenza continuativa per un certo numero di anni (opzione oggi disponibile per i cittadini degli altri Paesi U.E., gli extracomunitari, gli apolidi e i rifugiati, coloro che hanno discendenti nati in Italia). Inoltre, sarebbe auspicabile anche una rimozione della pratica del ricongiungimento familiare.

In terzo luogo, per quanto possa sembrare eccessivo a qualcuno, il sottoscritto ritiene opportuno anche non allargare le maglie normative sia per le adozioni estere sia per i matrimoni misti, i quali, in un’ipotesi ulteriore, potrebbero essere financo vietati.

Infine, sarebbe quanto mai utile eliminare ogni meccanismo di riacquisizione della cittadinanza italiana dopo averla persa.

I “tipi pratici” e coloro i quali hanno il cuore traboccante di “cosmopolitismo”, quando non di “carità pelosa”, sostengono oggi l’idea di una sostanziale inevitabilità dell’allargamento del novero delle fattispecie legate alla concessione della cittadinanza italiana a causa, fra l’altro, dei buchi occupazionali apertisi in taluni settori (agricoltura, industria, eccetera). Ebbene, a tale tesi, l’autore ribatte in due modi. Da un lato, che l’eventuale schizzinosità degli Italiani trae talvolta giustificazione da condizioni lavorative esigenti oltre l’accettabile (per tacere del piú becero sfruttamento). Dall’altro lato, che nulla garantisce un ipotetico scenario in cui gli stranieri di seconda, terza e quarta generazione continuino a seguire rassegnati le orme paterne senza provare pur essi a scalare (a quel punto legittimamente) la piramide sociale.

Ecco perché, se servisse, il Governo nazionale dovrebbe recedere unilateralmente pure da tutti quegli accordi internazionali che prevedono un modello integrativo economico-sociale che di umano ha però ben poco, dovendo spesso rispondere a logiche capitalistiche miranti ad avere manodopera a basso costo e clienti in quantità illimitata.

Tenendo conto di quanto appena scritto, a prima vista riuscirebbe inimmaginabile un ruolo delle Amministrazioni Comunali come quella di Parete, dato che la materia esula indubbiamente dalle proprie competenze. Tuttavia, un’ipotetica attività di promozione su scala locale dell’irrigidimento del flusso degli stranieri verso l’Italia (attraverso, ad esempio, incontri e dibattiti), unita ad un’eventuale opera di persuasione istituzionale rispetto agli enti sovraordinati, potrebbe già essere un buon inizio.


P.S. Di seguito un buon link da cui, chi volesse, può approfondire i presupposti attualmente utili per acquisire (o riacquisire) la cittadinanza italiana: http://www.esteri.it/mae/it/italiani_ne ... nanza.html
Ultima modifica di Raffaele2012 il lunedì 24 agosto 2015, 0:59, modificato 3 volte in totale.

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POST 56 – IL RILANCIO DEL TERRITORIO COMUNALE DI PARETE (CE) COME ENTITÀ FISICA, COME CENTRO DI VERA PRODUZIONE ECONOMICA E COME PATRIMONIO IMMATERIALE RICONOSCIBILE DAGLI ALTRI CONTA SEMPRE PIÚ DELLE LEGITTIME AMBIZIONI PERSONALI DI CHI VI ABITA!

L’adozione di un vasto riordino urbanistico volto a concentrare l’antropizzazione extragricola nella porzione orientale del paese e la promozione di una mentalità locale mirata al saggio contenimento delle nascite costituiscono due serie e definitive modalità che l’Amministrazione Comunale ha per evitare che Parete possa estinguersi come entità fisica a sé stante in quel mare d’asfalto e cemento che rischia di investirne inesorabilmente il territorio.

Dal un punto di vista "economico", in particolare, fatta salva la localizzazione pur sempre proporzionalmente marginale di unità artigianali/industriali, gli appena 5,7 chilometri quadrati di estensione, l’assenza di infrastrutture di rilievo a breve gittata (autostrade, ferrovie, porti e aeroporti), l’appartenenza ad un hinterland a nord di Napoli urbanizzato a livelli spaventosi suggeriscono all’ente municipale una cosa soltanto: che Parete dovrà restare saldamente legata alla produzione agricola.
In parole ancora piú semplici, il comune casertano potrà ricoprire un ruolo realmente funzionale (sia in un’ottica di "preservazione fisica" sia in rapporto al contesto zonale circostante) solo se una netta maggioranza dei suoi suoli sarà destinata alla semina e al raccolto di derrate alimentari.
Insomma, ove mai mancasse la legittima voglia di occuparsi di zappe, aratri e trattori, sarebbe molto meglio lasciare incolto un terreno piuttosto che cambiarne inopportunamente la destinazione d’uso.

Soltanto un concreto rilancio "fisico" ed "economico" del territorio comunale paretano, scevro soprattutto di ogni componente opportunistica, contribuirà poi a tenere saldo su basi di tipo ciclico il locale rapporto Uomo-Territorio stimolando il mantenimento e la condivisione del patrimonio immateriale comunitario, che, in quanto tale, è intimamente diverso da quelli delle località circonvicine e che, al pari degli altri, è composto di usanze e di ritualità generatrici di immortalità.
Ogni tentativo di chiarimento su quest’ultime parole sarà dato a partire dal messaggio 60, in appendice alla corrente trattazione.


P.S. In allegato al corrente messaggio, si ripubblicano due immagini già aggiunte nel POST 48 alfine di ricordare l’estensione delle due zone agricole di Parete cosí come proposta dal sottoscritto.

Immagine

Immagine
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POST 56.1 – Chi sono i VERI amministratori comunali e i VERI attori politici, specie se si considera una realtà territoriale come quella di Parete?

In ogni caso simile a quello di Parete, bisogna osservare che sono veri amministratori comunali e veri attori politici solo coloro i quali, in rapporto alla superficie disponibile e all’ubicazione di quest’ultima rispetto al contesto circostante, hanno come essenziali obiettivi l’integrità fisica e immateriale, nonché la funzionalità veramente “economica” del locale territorio. Difatti, ciò rappresenta l’unica ricetta per tutelare per davvero e a tempo indeterminato ciascun abitante e l’intera comunità offrendo valide condizioni di vivibilità.

In tale ottica, occorre ribadire, per l’ennesima volta, l’assoluta irrilevanza di una “politica del lavoro a sé stante” a livello di singola giurisdizione, dato che il comma 27 dell’art. 14 della Legge n. 122 del 2010 (http://www.bosettiegatti.eu/info/norme/ ... 0_0122.htm) non la annovera fra le funzioni fondamentali dei Comuni. Volendo essere perspicaci, a parte una quota occupazionale derivante dall’esercizio delle proprie prerogative, ciò che possono fare i Municipi come quello paretano è soltanto creare delle premesse in virtú dell’indirizzo “economico” prevalente (agricolo, nello specifico) individuato (o appena confermato) tramite la programmazione urbanistica.

I concetti di “indirizzo economico” e di “politica del lavoro”, dunque, possono essere interpretati nel concreto in modo da risultare complementari, ma rimangono ben distanti sul versante concettuale. In particolare, è sempre il secondo che va visto in una posizione subordinata rispetto al primo.

Scritto in maniera diretta: i migliori amministratori comunali e i migliori attori politici non sono quelli che promettono ovvero consentono ovunque la costruzione di case e capannoni, la spruzzata d’asfalto, l’elevazione di marciapiedi, l’installazione di lampioni e l’apertura di ristoranti sbandierando opportunisticamente l’esigenza di “far campare nell’immediato Tizio e Caio”, ma quelli che promuovono, coi fatti e cogli atti, un modello di consapevole gestione del territorio capace di trasmettersi di padre in figlio.
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POST 57 – IL DIRITTO ALL’EDIFICAZIONE NON ESISTE! Prime giustificazioni

Già nel POST 46 è stata accennata l’inesistenza di un diritto edificatorio “assoluto” con specifico riferimento alla ‘casa’. Tuttavia questo assunto vale sempre, anche quando si pensa ad altri segni di urbanizzazione (capannoni artigianali, locali commerciali, ecc.).

Per mostrare l’inesistenza di un diritto “assoluto” all’edificazione, il sottoscritto rimanda ancora una volta il lettore alla massima fonte giuridica del Paese: la Costituzione (http://www.governo.it/Governo/Costituzi ... ncipi.html), la norma a cui tutte le altre (nazionali e locali) debbono sottostare.

A riguardo, non si può non cominciare dall’art. 42 nel quale viene riconosciuto il principio della proprietà privata, ma mai in un’ottica che possa travalicare l’utilità sociale. Già con un semplice giro sul web, ognuno può comprendere come quest’ultima vada intesa come quella situazione in cui viene raggiunto il miglioramento delle condizioni esistenziali di una collettività e di ogni singola persona che ne fa parte. Tenendo conto dell’oggetto del presente messaggio, in particolare, va osservato come suddetto miglioramento possa concidere con un’edificazione, ma anche consistere benissimo in una mancata cementificazione.
Ad esempio, l’utilità sociale di una zona campestre a cavallo di due cittadine densamente abitate può consistere benissimo nel lasciarla cosí come sta, se il rischio è quello di procedere con un’urbanizzazione in grado di portare solo traffico e cemento, specie qualora l’intento fosse solo speculativo.

LL’art. 44, poi, è non meno diretto poiché cita in modo testuale un «razionale sfruttamento del suolo» e, quindi, evoca financo l’opzione di circoscrivere ovvero di arrestare (a seconda dei casi) ogni intento edificatorio.

L’art. 41 riconosce a sua volta l’iniziativa economica privata, ma mai in un’ottica che possa trascendere l’utilità sociale. Ciò implica soprattutto la possibilità di limitare ovvero di bloccare la stessa attività d’impresa quando non influenza positivamente le condizioni esistenziali di una collettività e di ciascun individuo che ne fa parte.
Ad esempio, l’utilità sociale di un nucleo di capannoni artigianali in piena zona campestre può difettare laddove manca ogni potenziale margine di crescita dimensionale per le medesime aziende, con negative ipotetiche ricadute sul piano dell’assorbimento della disoccupazione locale, cosa che rischia di verificarsi con maggiore facilità se l’ubicazione prescelta è ben distante da grandi vie di comunicazione (come un’autostrada).

Inoltre, fra i “principi fondamentali” della Costituzione spicca quello legato alla tutela del paesaggio (art. 9) che, se viene inteso in termini giuridici, rimanda a un territorio frutto dell’interazione Uomo-Natura (comma 1, art. 131 del Decreto Legislativo 42/2004 - http://www.altalex.com/index.php?idnot=33967#titolo3) e, quindi, pure al complesso di valori, usanze e ritualità che discendono da questa.
In tale ultima ottica, allora, si comprende che il nesso individuato dal sottoscritto fra la valorizzazione “fisica” del tenimento paretano, possibile soltanto invertendo l’attuale inopportuno processo di consumo di suolo "vergine", e il richiamo costante del locale “patrimonio immateriale” non è campato in aria, anzi.

L’art. 32 della Costituzione, esplicitando il diritto alla salute individuale e collettiva, ricollega a quell’esigenza di benessere psicofisico che finora lo scrivente ha riassunto colla parola “vivibilità”. Per cui, ad esempio, una decina di lottizzazioni residenziali a scopo speculativo potrebbero rendere felice il palazzinaro di turno, ma anche suscitare una piú importante sensazione di disagio in chi sentisse minacciata la propria percezione ‘in positivo’ della realtà locale.

Tradotto in parole semplici: esistono una proprietà privata e un’iniziativa economica privata, ma a entrambe non è possibile collegare un diritto all’edificazione né quest’ultimo esiste in termini assoluti.

In particolare, rispetto alla proprietà privata, l’edificazione costituisce solo uno dei possibili modi di godere della disponibilità di un proprio terreno.
Ultima modifica di Raffaele2012 il martedì 18 agosto 2015, 12:35, modificato 4 volte in totale.

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POST 57.1 – IL DIRITTO ALL’EDIFICAZIONE NON ESISTE! Ulteriori giustifcazioni

Laddove le spiegazioni finora fornite dal sottoscritto peccassero di ampollosità, la questione del “non diritto all’edificazione” potrebbe anche essere affrontata in modo tale da stimolare la dimensione percettiva del lettore.

In primo luogo, se davvero esistesse un diritto assoluto all’edificazione, tutti i tentativi di pianificazione urbanistica a livello comunale e sovralocale non avrebbero alcuna ragione per andare avanti. Infatti, ognuno potrebbe fare del proprio fondo ciò che vuole senza dover rendere conto ad alcuno.
Ad esempio, Tizio, Caio e Sempronio potrebbero decidere di costruire una palazzina oppure un centro commerciale in una zona campestre isolata a patto di essere semplicemente i possessori dei terreni interessati.

In secondo luogo, se davvero esistesse un diritto assoluto all’edificazione, nell’ambito di tutta la regolamentazione legata al mattone non vi sarebbe posto per espressioni come “permesso di costruire” oppure “concessione edilizia”. Infatti, un diritto resterebbe sempre tale e non potrebbe costituire l’oggetto di nulla osta o di roba simile.
Ad esempio, esiste un diritto alla salute, ma non un fantomatico “permesso di salute”; esiste un diritto di votare, ma non un’immaginaria “concessione elettorale”.

Insomma, popolo e politici di ogni realtà locale, inclusa quella di Parete, devono assolutamente convincersi che il possesso di un terreno e/o la residenza in un dato comune non porta al sorgere automatico di ogni sorta di diritto edificatorio (in termini abitativi e non solo).

S’auspica, perciò, che chi vede in “ogni metro quadro un metro cubo” possa rapidamente cambiare idea. Punto e basta.
Ultima modifica di Raffaele2012 il martedì 18 agosto 2015, 12:31, modificato 2 volte in totale.

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Re: Urbanistica Città di Parete (Ce) a cura di Raffaele2012

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:) :) :) :) :)

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Re: Urbanistica Città di Parete (Ce) a cura di Raffaele2012

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POST 58 – IL RILANCIO DEL TERRITORIO COMUNALE DI PARETE (CE) COME ENTITÀ FISICA, COME CENTRO DI VERA PRODUZIONE ECONOMICA E COME PATRIMONIO IMMATERIALE RICONOSCIBILE DAGLI ALTRI: i «tagli» all’urbanizzazione e demografico necessari per garantirne una “resa continuata nel tempo”

Il riordino urbanistico mirato alla concentrazione dell’antropizzazione extragricola nella sezione est e la promozione di una mentalità volta al contenimento delle nascite ipotizzati per Parete non devono giammai essere intesi come una soluzione di stampo dittatoriale o giú di lí, ma come strumenti necessari affinché il locale territorio possa conoscere una resa potenzialmente illimitata nel tempo in fatto di vivibilità e di sfruttamento veramente “economico” (nello specifico, tramite la semina e raccolto di derrate alimentari).

In tale ottica, può essere menzionata a mo’ di esempio la millenaria usanza contadina di potare i rami delle piante in modo da garantire la crescita di frutti carichi di sostanze nutritive a sufficienza. Un altro esempio (anche se, va ammesso, maggiormente banale) può essere quello di chi va periodicamente dal barbiere per ottenere un ‘rinforzo’ dei propri capelli ed evitarne l’indebolimento e/o la caduta.
Ultima modifica di Raffaele2012 il martedì 18 agosto 2015, 12:38, modificato 2 volte in totale.


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