Urbanistica Città di Parete (Ce) a cura di Raffaele2012

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Re: Urbanistica Città di Parete (Ce) a cura di Raffaele2012

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POST 39 bis – (segue da sopra). Un onorevole atteggiamento dei privati che già beneficiano del permesso di costruzione, ma che ancora non hanno fatto avviare i lavori di costruzione in quelle sezioni del territorio di Parete eventualmente contrastanti con una successiva pianificazione urbanistica generale

Nel passato messaggio è stato scritto che il Comune di Parete potrebbe trovarsi nell’eventualità di adottare dei provvedimenti di decadenza di quei permessi di costruzione già rilasciati in relazione a parti del tenimento comunale confliggenti con una successiva destinazione urbanistica. Sull’argomento, tuttavia, è possibile sostenere che nulla impedirebbe ai privati di agire ovvero non agire di propria iniziativa.

Da un lato, infatti, i privati potrebbero inoltrare all’autorità municipale una domanda formale per far decadere (ovvero annullare) i rispettivi permessi di costruzione. Dall’altro lato, poi, essi potrebbero anche soltanto limitarsi a non avviare i lavori entro un anno dal momento del rilascio del titolo in modo da provocarne una spontanea decadenza.
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Raffaele2012
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Re: Urbanistica Città di Parete (Ce) a cura di Raffaele2012

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POST 39 ter – (segue da sopra). Cenni a proposito di quei piani di lottizzazione “a scopo prevalentemente residenziale” (già approvati e/o per i quali è già stata stipulata la relativa convenzione) eventualmente contrastanti con una successiva pianificazione urbanistica generale

I piani di lottizzazione vanno inquadrati come “piani attuativi”, ossia come una tipologia di pianificazione di una parte del territorio comunale che trae senso concreto e validità formale dallo strumento urbanistico generale da cui ‘discendono’.

In particolare, va osservato come i piani di lottizzazione rappresentino uno strumento di pianificazione attuativa assai utile per consentire l’espansione di un centro abitato in zone fino a quel punto inedificate o edificate in percentuale assai marginale.

Ciò che contraddistingue i piani di lottizzazione è la stipulazione di una convenzione, la quale avviene comunemente dopo l’approvazione del medesimo piano da parte dell’autorità locale. Per l’esattezza, tale convenzione, redatta in forma scritta, lega formalmente i soggetti proprietari dei terreni interessati al tipo di trasformazione e il Municipio e prevede (in linea generale) l’esecuzione da parte dei primi delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, destinate poi (dopo collaudo) ad essere cedute al suddetto ente, nonché l’allacciamento dell’area ai pubblici servizi (acqua, elettricità e simili).

Sia i piani di lottizzazione (art. 16 comma 5 della Legge n. 1150 del 1942 e successive modificazione e integrazioni) sia le relative convenzioni (art. 28, comma 5, punto 3 della medesima legge) non possono prevedere una durata superiore ai 10 anni; le seconde, tuttavia, possono anche interessare una fascia di tempo ridotta (art. 28 comma 9 della suddetta legge), a seconda di quanto concordato dalle parti, comprensibilmente in funzione dell’entità dei lavori previsti. Di conseguenza, è pacifico affermare che dovrebbe costituire scopo dei soggetti coinvolti procedere ad una stipulazione della convenzione poco tempo dopo l’approvazione del piano di lottizzazione da cui discende.

La giurisprudenza, integrando col tempo le disposizioni degli articoli 16 e 28 della Legge n. 1150 del 1942, ha poi circoscritto in dieci anni il periodo massimo entro il quale, dal momento dell’approvazione del piano di lottizzazione, vanno non solo completate le opere di urbanizzazione primaria, ma portate altresí a termine la realizzazione dei lotti (si legga a mo’ di esempio il contenuto della sentenza n. 2045 del 6 Aprile 2012 della IV sezione del Consiglio di Stato). Ciò in virtú di un’esigenza di certezza legata ad un’eventuale trasformazione territoriale in mancanza della quale il potere di pianificazione della medesima amministrazione locale tenderebbe a essere inopportunamente ridotto.

Stando cosí le cose, a questo punto qualcuno potrebbe chiedersi se un’autorità comunale (come potrebbe essere quella di Parete) abbia modo di “tornare indietro” da un piano di lottizzazione ‘a scopo prevalentemente residenziale’ approvato e/o da una convenzione già stipulata nel caso in cui sia successivamente approvato un piano urbanistico generale che prevede, per talune sezioni, una destinazione d’uso confliggente con quella precedentemente stabilita.
Ebbene, a parere del sottoscritto, si ritengono possibili entrambe le opzioni.


In primo luogo, l’orientamento giurisprudenziale afferma che un’Amministrazione Comunale, dopo aver approvato un piano di lottizzazione, ha sempre la possibilità di rivedere i propri intenti pianificatori su una medesima area fino a prendere la decisione di non stipulare piú la relativa convenzione, anche se ciò significasse porsi in contrasto colle intenzioni dei soggetti privati di turno. Questo perché si sostiene “…la natura meramente programmatoria del piano di lottizzazione, che è, di per sé, inidoneo a far sorgere in capo ai privati aspettative giuridicamente qualificate…” (sentenza del T.A.R. della Calabria, sede di Catanzaro, sez. I, n. 31 del 12 gennaio 2011).
In buona sostanza, e magari con parole che farebbero impallidire ogni esperto di materia giuridica, l’approvazione del piano di lottizzazione andrebbe sempre perfezionata colla stipulazione della convenzione, senza la quale le attese dei privati sarebbero ancora irrilevanti dal punto di vista formale.

In secondo luogo, per quanto concerne i piani di lottizzazione approvati e formalmente convenzionati per i quali l’autorità comunale non ha ancora rilasciato il permesso di costruire, va precisato come l’orientamento giurisprudenziale prevalente (vedasi, a mo’ di esempio, la sentenza del T.A.R. della Lombardia, sede di Milano, sezione II, n. 2882 del 7 Luglio 2008) abbia riconosciuto agli enti locali la possibilità di recedere unilateralmente e “implicitamente” da ogni stipulazione siglata laddove le superfici coinvolte siano state oggetto di un mutamento della destinazione d’uso coll’entrata in vigore di un nuovo Piano Urbanistico.
Difatti, va ancora una volta sottolineato che la validità decennale di questo tipo di piano attuativo vale nell’ambito dello strumento urbanistico generale a cui rimanda e del quale rappresenta solo “una costola”, tanto per intendersi. Quindi, se nel frattempo venisse approvato un altro piano generale e il singolo piano di lottizzazione fosse ancora privo del permesso di costruire, tale progetto di turno non potrebbe tradursi in realtà, a maggior ragione se la nuova destinazione d’uso andasse in direzione contraria da quella edificatoria. Insomma qualsiasi permesso di costruire rilasciato sarebbe illegittimo trascinando con sé l’opera.

Attenzione, però. Il suddetto orientamento giurisprudenziale prevalente ha ribadito pure che la decisione dell’ente locale di mutare la precedente destinazione d’uso di un’area a lottizzazione convenzionata andrebbe espressamente motivata anche raffrontando l’interesse pubblico al nuovo assetto colla “situazione soggettiva del proprietario”. In poche parole, l’ente locale avrebbe la possibilità fattiva di recedere a patto di dimostrare la… superiorità del citato interesse pubblico rispetto alle aspettative del privato.
Già un semplice giro sul web permette di comprendere che per interesse pubblico s’intende il perseguimento del miglioramento delle condizioni esistenziali di una collettività e di ogni singola persona che ne fa parte. Quindi, in maniera forse impropria per qualcuno, ciò implica che ogni individuo può stare meglio costruendogli una determinata opera, ma anche abbattendo laddove fosse necessario.
Ad esempio, l’interesse pubblico a bloccare una lottizzazione convenzionata ancora priva del permesso di costruire in una zona che ha per riferimento solo una stretta stradina sostanzialmente a senso unico di marcia, di grande utilità per il movimento d’auto e moto a livello locale/extralocale, nonché evocante la civiltà contadina, potrebbe essere dimostrato dall’esigenza di salvaguardare questa triplice caratteristica, qualora l’aspettativa privata non si traducesse altro che in un aumento a dismisura del traffico veicolare e perfino in una cancellazione del ‘profilo storico’ dell’arteria, a maggior ragione se quest’ultima fosse fatta oggetto di allargamenti.

Comunque, laddove il richiamo all’orientamento giurisprudenziale prevalente (ribadito, fra l’altro, nella summenzionata sentenza n. 2882/2008 del TAR Lombardia-Milano, sez. II) risultasse eccessivo, può essere menzionata quell’ampia parte della dottrina e della giurisprudenza che associa le convenzioni già stipulate dei piani di lottizzazione ad “accordi sostitutivi del provvedimento amministrativo” e che, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, giustifica la possibilità dell’ente locale di recedere unilateralmente da tale accordo, in virtú di quanto si desume dal comma 4 dell’art. 11 della Legge n. 241 del 1990.
Quest’ultima norma, però, fa anche riferimento a un’eventuale obbligo della pubblica amministrazione a indennizzare il privato (in capo al quale, colla convenzione stipulata, sorgerebbero ora sí delle aspettative formalmente riconosciute), ma in solo riferimento al ‘danno emergente’ (comma 1-bis, art. 21-quinquies della citata legge 241/1990).
In maniera spiccia, si può descrivere la nozione di “danno emergente” come collegata ad una diminuzione patrimoniale del soggetto coinvolto. Quindi, ad esempio, il danno emergente legato a una sopravvenuta impossibilità di edificare potrebbe consistere in una mancata valorizzazione del possesso di un determinato pezzo di terreno.

Di certo, se valesse in tutto e per tutto l’associazione delle convenzioni di lottizzazione già stipulate agli “accordi sostitutivi del provvedimento amministrativo”, non sarebbe da trascurare l’eventuale incidenza degli indennizzi che dovrebbe corrispondere un ente locale, a maggior ragione se fossero complessivamente di forte entità. Di conseguenza, in alternativa all’ipotesi di recesso unilaterale di marca municipale, il sottoscritto ritiene possibile che anche i privati coi terreni coinvolti possano fare un passo indietro prima di stipulare una convenzione di lottizzazione ‘a scopo prevalentemente residenziale’ o addirittura dopo aver messo in calce la propria firma.

Da un lato, il privato potrebbe presentare domanda di revoca o di annullamento da parte dell’ente municipale di un piano di lottizzazione già approvato che lo vede coinvolto, ma per il quale non è stata ancora stipulata la relativa convenzione (sull’argomento, s’invita a consultare il commento alla decisione del Consiglio di Stato, sez. V, n. 3217 del 21 maggio 2010, nonché il testo della medesima decisione).
Dall’altro lato, il privato avrebbe pur sempre la possibilità, dietro richiesta formale, di rinunziare alla convenzione di lottizzazione anche dopo averla sottoscritta. La natura pattizia dell’atto convenzionato, difatti, consente a tutte le parti coinvolte di poterne venire meno laddove scemi la volontà edificatoria, e non soltanto all’ente pubblico in virtú della potestà esercitata sul territorio di pertinenza.
È opinione dell'autore, in particolare, che a queste due soluzioni si possa giungere specie nel caso di una lottizzazione promossa da privati, i quali avrebbero piena legittimità a fare un passo indietro dopo averne fatto uno in avanti.

In un contesto come quello di Parete, contrassegnato da una sostanziale saturazione della parte comunale a est e dalla minaccia di un massiccio inopportuno consumo di suolo vergine a occidente, sarebbe certamente inteso come gesto di grande nobiltà e di altissimo senso civico, la rinuncia di un privato a dare seguito a un piano di lottizzazione ‘a scopo prevalentemente residenziale’ già approvato e/o stipulato. Ovviamente se ciò riguardasse terreni per i quali il sottoscritto ha di volta in volta umilmente proposto delle soluzioni alternative, come ad esempio, la destinazione agricola.

Insomma, dalla lettura degli orientamenti giurisprudenziali, delle posizioni delle dottrina giuridica e delle norme vigenti una cosa sembra essere certa: il contenuto delle convenzioni di lottizzazione non è immodificabile per le eternità delle eternità né tantomeno appare illogica la possibilità di una loro modifica e di una loro revoca che, al verificarsi di talune condizioni (alcune delle quali si è cercato di menzionare), può essere riconducibile alla volontà dell’amministrazione comunale ovvero del privato.

A margine, malgrado una non diretta attinenza coll’oggetto del corrente messaggio, si desidera dare qualche altro velocissimo accenno.
In primis, si ritiene che le considerazioni di sopra possano anche valere per quei piani di lottizzazione ad iniziativa privata ricadenti in aree a destinazione artigianale-industriale, tipicamente individuate colla lettera “D” nell’ambito delle pianificazioni urbanistiche comunali.

In secundis, si ritiene che quanto umilmente evocato nel corrente post possa valere anche in riferimento alle aree P.I.P. (Piano di Insediamento Produttivo), generalmente associate alle zone “D” di una pianificazione generale comunale e contraddistinte anch’esse da una durata decennale del relativo piano di attuazione dal momento dell’approvazione da parte dell’Amministrazione locale di turno (comma 3 dell’art. 27 della Legge 22 Ottobre 1971, n. 865). Difatti anche in questo caso vi è la stipulazione di una convenzione fra Comune e privato, con quest’ultimo che può giungere ad accollarsi gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria onde stabilirsi direttamente ovvero, in seguito all’aggiudicazione di un’apposita selezione pubblica, per far approdare altre ditte.

In tertiis, si ritiene che quanto umilmente esposto nel presente messaggio possa valere anche in riferimento alle aree P.E.E.P. (Piano di Edilizia Economica e Popolare), generalmente associabili alle zone “C” di una pianificazione generale comunale e contraddistinte da una durata di ben 18 anni del relativo piano di attuazione dal momento dell’approvazione da parte dell’Amministrazione locale di turno (comma 1 dell’art. 9 della Legge n. 167 del 18 Aprile 1962). Difatti anche in questo caso vi è la presenza di una convenzione stipulata fra soggetti pubblico e privato, con quest’ultimo che può giungere ad accollarsi gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria onde stabilirsi direttamente ovvero, in seguito all’aggiudicazione di un’apposita selezione pubblica, per far approdare altri individui.
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POST 39 quater – (segue da sopra)

Di seguito sono stati raggruppati i link delle pagine internet dove è possibile reperire leggi, sentenze, decisioni, giurisprudenza e dottrina menzionate nel corso del precedente POST 39-ter:

Legge n. 1150 del 1942 e successive modificazione e integrazioni: http://www.bosettiegatti.eu/info/norme/ ... 2_1150.htm

Legge n. 241 del 1990: http://www.bosettiegatti.eu/info/norme/ ... 0_0241.htm

Legge n. 167 del 1962: http://www.bosettiegatti.eu/info/norme/ ... htm#inizio

Consiglio di Stato, IV sezione, sentenza n. 2045 del 6 Aprile 2012:
1) https://www.giustizia-amministrativa.it ... T6HIJAU&q=
2) http://gruppodinterventogiuridicoweb.co ... no-eterni/

T.A.R. della Calabria, sede di Catanzaro, sez. I, (sentenza n. 31 del 12 Gennaio 2011:
1) https://www.giustizia-amministrativa.it ... P33T6YI&q=
2) http://www.ambientediritto.it/sentenze/ ... 1_n.31.htm

T.A.R. della Lombardia, sede di Milano, sezione II, sentenza n. 2882 del 7 Luglio 2008
1) https://www.giustizia-amministrativa.it ... drkz6m.pdf
2) http://www.altalex.com/index.php?idnot=42479

Commento alla decisione n. 3217 del 21 maggio 2010 del Consiglio di Stato, sez. V: http://www.altalex.com/documents/news/2 ... tizzazione

Decisione n. 3217 del 21 maggio 2010 del Consiglio di Stato, sez. V:
https://www.giustizia-amministrativa.it ... IPBQMDM&q=
Ultima modifica di Raffaele2012 il mercoledì 2 settembre 2015, 13:21, modificato 11 volte in totale.

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Messaggio da Raffaele2012 »

POST 39.1 – La necessità di meccanismi giuridici ancora piú complessi per il riordino urbanistico nelle zone presentate nei POST 30, 31, 33 e segg., 34 e segg., 35, 36, 37 e segg. (pagg. 7 e 8 del corrente topic)

Malgrado quanto osservato nei precedenti messaggi 39 e 39 bis, è pacifico affermare che l’azione di riordino urbanistico di Parete nelle sette zone cosí come individuate dal sottoscritto (“concentrazioni” varie; orti urbani; zone agricole a est e a ovest di Parete; sezioni per allestimenti temporanei) non potrebbe, in realtà, poggiare soltanto su un nuovo PUC e sulle correlate Norme Tecniche di Attuazione. Difatti, l’eventualità di ricorrere anche a delle fattive riconversioni fondiarie (abbattimenti di stabili privati, anzitutto) potrebbe spingere la locale Amministrazione a utilizzare un meccanismo relativamente piú complesso e composto, in buona sostanza, dal Piano Urbanistico Comunale, dal procedimento di espropriazione per pubblica utilità e dai singoli Piani Attuativi..

Ci si prova ora a chiarire, ricordando che il procedimento espropriativo è disciplinato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, e successive modificazioni e integrazioni (http://www.bosettiegatti.eu/info/norme/ ... 1_0327.htm).

Anche stavolta tutto partirebbe dall’approvazione di un nuovo PUC. Nell’ottica espropriativa, però, l’entrata in vigore dello strumento generale (nel caso di Parete, il PUC) varrebbe anche come “apposizione del vincolo preordinato all’espropriazione” (comma 1, art. 9, del citato DPR 327/2001), ossia come primo passo formale a cui si potrebbe ricorrere per una fattiva riconversione fondiaria.

In linea generale, l’effetto pratico del vincolo preordinato all’espropriazione sta nell’impedire al possessore del fondo la realizzazione di ogni opera che possa essere in contrasto colla novella destinazione d’uso. Ad esempio, se fosse pianifcata una localizzazione di industrie altamente tossiche, di certo non sarebbe ammissibile la costruzione di una palazzina residenziale.

Cosa potrebbe significare, nel caso di Parete, l’apposizione di un vincolo preordinato all’espropriazione? Che le opere edilizie già esistenti e complete non potrebbero conoscere qualsiasi ulteriore lavoro di incremento volumetrico se ricadenti in una zona con destinazione d’uso novella (ad esempio, agricola).

A questo punto, entro 5 anni dall’approvazione del nuovo strumento urbanistico generale e, quindi, dall’inizio dell’efficacia del vincolo preordinato espropriativo (comma 2, articolo 9, DPR n. 327 del 2001), il secondo passo consisterebbe nell’approvazione di un singolo Piano Attuativo, premessa indispensabile per la “dichiarazione di pubblica utilità”.
L’importanza del singolo Piano Attuativo, nell’ottica espropriativa, non va sottovalutata, data la peculiarità di individuare con esattezza le zone di intervento, cosa che, nel caso paretano, è essenziale per circoscrivere i punti oggetto di riconversione fondiaria.
I commi 3 e 4 dell’articolo 13 del DPR 327/2001, in particolare, stabiliscono che il periodo di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità è di 5 anni, salvo periodo minore stabilito dall’autorità espropriante che, ovviamente, nello specifico non potrebbe non corrispondere all’Amministrazione Comunale di Parete.

Senza volere ulteriormente annoiare il lettore, va osservato che entro il periodo di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità andrebbe calcolata l’indennità (provvisoria) a carico del soggetto espropriato e, soprattutto, dovrebbe essere emanato il decreto di esproprio. Quest’ultimo, in particolare, darebbe il via libera all’immissione in possesso dell’immobile di turno da parte del soggetto espropriante e, quindi, nel caso paretano, darebbe finalmente il via libera a quegli abbattimenti di stabili privati e a quelle riconversioni fondiarie che il sottoscritto ha provato a indicare di volta in volta nei POST 30, 31, 33 e segg., 34 e segg., 35, 36, 37 e segg.
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Messaggio da Raffaele2012 »

POST 39.1 bis – (segue da sopra)

Approfittando dell’occasione, si prova a fornire qualche elemento per soddisfare l’eventuale curiosità del lettore circa l’indennità a cui ha diritto ogni soggetto espropriato del suo bene.

Il comma 1 dell’art. 38 del citato Decreto n. 327 del 2001 stabilisce che l’indennità di una costruzione legittimamente edificata è calcolata partendo da un valore di mercato “oggettivamente individuato” tramite stima, in modo da attutire l’eventuale impatto economico della perdita.
Il comma 2 del medesimo art. 38, invece, afferma che per il fabbricato realizzato abusivamente spetta un’indennità pari all’area di sedime, la quale, in maniera forse grossolana agli occhi di qualcuno, corrisponde alla semplice “proiezione a terra”. Peraltro lo stesso comma stabilisce che, in caso di manufatto parzialmente abusivo, l’indennità è pari al valore della sola parte eretta legalmente.

Inoltre, stando a quello che si legge nel comma 3 dell’art. 26 del summenzionato D.P.R., nel caso in cui l’immobile sia gravato da ipoteca (tipica situazione del mutuo), al proprietario viene data la possibilità di ricevere l’indennizzo a condizione di essere autorizzato in forma scritta dal titolare del diritto di ipoteca (ad esempio, una banca).

In chiusura di messaggio, si vuole provare ad effettuare un calcolo approssimativo dei punti del territorio di Parete che, in base alle varie novelle destinazioni d’uso proposte dal sottoscritto, potrebbero essere oggetto di abbattimenti e riconversioni fondiarie.

Stando a quello che le immagini aeree di Google Earth fanno percepire e con l’ESCLUSIONE di un’ipotetica “concentrazione” di attività artigianali (“produzione” e “servizi”) in corrispondenza dell’attuale rione 167, gli interventi di recupero potrebbero coinvolgere 83 edifici (91 aggiungendo le otto abitazioni che già da tempo s’affacciano lungo il lato orientale del terzo tratto di via Vicinale Vecchia e quelle recentissime che da qualche anno incombono sul lato orientale del segmento sud di via Castagnola; 93 assommando anche i due stabili, rispettivamente uno a nord di via Bologna e uno a cavallo di via Castagnola seg.to sud e della strada dell'Ente di Bonifica) e 26 superfici.

Stando a quello che le immagini aeree di Google Earth fanno percepire e con l’INCLUSIONE, stavolta, di un’ipotetica “concentrazione” di attività artigianali (“produzione” e “servizi”) in corrispondenza dell’attuale rione 167, gli interventi di recupero potrebbero essere oggettivamente piú consistenti giungendo a coinvolgere 163 fra singoli fabbricati, complessi multipiano e costruzioni a schiera (171 aggiungendo le otto abitazioni che già da tempo s’affacciano lungo il lato orientale del terzo tratto di via Vicinale Vecchia e quelle recentissime che da qualche anno incombono sul lato orientale del segmento sud di via Castagnola; 173 assommando anche i due stabili, rispettivamente uno a nord di via Bologna e uno a cavallo di via Castagnola seg.to sud e della strada dell'Ente di Bonifica), nonché 26 superfici.
Ultima modifica di Raffaele2012 il martedì 2 agosto 2016, 22:09, modificato 12 volte in totale.

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POST 39.2 – Il recupero di suolo per uso agricolo: chiarimento sull’eventualità o meno di approvare un Piano Attuativo nell’ambito della procedura espropriativa

Nel POST 39.1, anche in riferimento alle due zone agricole a est e a ovest di Parete (cosí come proposte dallo scrivente nei POST 33 e segg. e 34 e segg.), è stato osservato che il procedimento espropriativo dovrebbe passare per l’approvazione pure di un singolo Piano Attuativo da parte dell’Amministrazione Municipale. Ebbene, su un’eventualità del genere, allo scopo di facilitare la comprensione altrui, si desidera accennare a due scenari generalissimi a mo’ di esempio.

Se lo stabile in questione rappresentasse un’inopportuna impermeabilizzazione perché occupa una posizione isolatissima in aperta campagna, a umile parere del sottoscritto, potrebbe bastare, nel periodo entro il quale va formalizzata la “dichiarazione di pubblica utilità”, l’approvazione di un “progetto definitivo” di riconversione fondiaria senza ricorrere a un Piano Attuativo in virtú di quanto appare stabilito nella lettera a) comma 1 dell’art. 12 del citato DPR n. 327 dell’anno Duemilauno.

Se l’impermeabilizzazione consistesse, invece, in una serie di edifici siti l’uno accanto all’altro (o soltanto separati da una breve distanza), a modesto avviso dell’autore, la soluzione migliore potrebbe rimanere quella del Piano Attuativo, a maggior ragione se prevalesse la volontà di non accorpare l’area sotto un’unica gestione o proprietà agricola, ma di procedere per una diverso frazionamento delle estensioni (in termini di ulteriore sminuzzamento o di accorpamento).
Ultima modifica di Raffaele2012 il mercoledì 2 settembre 2015, 13:17, modificato 7 volte in totale.

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Messaggio da Raffaele2012 »

POST 39.3 – Qualche altro ragguaglio circa il procedimento espropriativo coinvolgente le zone presentate nei POST 30, 31, 33 e segg., 34 e segg., 35, 36, 37 e segg. (pagg. 7 e 8 del corrente topic)

Amor di verità spinge a scrivere che il procedimento espropriativo eventualmente coinvolgente le sette zone cosí come individuate dal sottoscritto (“concentrazioni” varie; orti urbani; zone agricole a est e a ovest di Parete; sezioni per allestimenti temporanei) potrebbe trovare forti ostacoli per quelle opere edilizie concretamente avviate (poiché perfettamente a regime coi termini di validità, inizio e/o termine dei lavori) in virtú dei rilasci dei permessi di costruzione derivanti da uno strumento urbanistico generale precedente quello novello.

A riguardo, le soluzioni per rimediare e a disposizione di un ente comunale potrebbero essere quattro.

La prima verterebbe su un blocco “fattivo” delle opere edilizie concretamente in corso a seguito dell’approvazione di un nuovo Piano Urbanistico Comunale che per i punti interessati prevederebbe una destinazione d’uso differente.
Ciò malgrado, una strategia del genere potrebbe presentarsi come particolarmente forzata, se non addirittura irrealistica.

La seconda soluzione consisterebbe sempre nell’approvazione di un nuovo PUC in grado di stabilire un cambio di destinazione d’uso per tutta una serie di punti. Eppure, le opere edilizie divenute eventualmente confliggenti col successivo regime urbanistico (ad esempio, case in zona stabilita come agricola) potrebbero comunque andare avanti fino alla scadenza dei termini indicati nel permesso originario, ma senza alcuna possibilità di proroga in caso di mancata conclusione.
A umile parere del sottoscritto, però, un particolare difetto di una strategia del genere deriverebbe da una contraddizione concettuale fra l’apposizione del vincolo preordinato al momento dell’approvazione del PUC (la quale si contraddistingue per una ‘forza’ inibitrice) e la continuazione delle costruzioni.

La terza soluzione sarebbe solo all’apparenza cervellotica. In pratica, un nuovo Piano Urbanistico Comunale confermerebbe, almeno in linea di partenza, la destinazione fondiaria limitatamente ai punti dove starebbero proseguendo le varie opere edilizie.
Poco prima della scadenza del termine formale di conclusione della costruzione (in genere 3 anni dalla data di avvio dei lavori), però, l’Amministrazione Comunale di Parete dovrebbe approvare una “variante” (o piú “varianti”) al Piano Urbanistico Comunale; tale atto, infatti, avrebbe valore di apposizione del ‘vincolo preordinato espropriativo’ (comma 1, art. 9 del DPR n. 327 del 2001) e consentirebbe di dare vita al relativo procedimento secondo quanto accennato nei messaggi 39.1 e 39.1 bis.

Esisterebbe poi una quarta soluzione, che si rifarebbe alla procedura ulteriormente semplificata descritta nell’articolo 19 del DPR n. 327 del 2001 secondo il quale l’approvazione del “progetto definitivo” di un’opera espropriativa costituisce essa stessa variante urbanistica facendo scattare il già citato vincolo preordinato.

La differenza fra gli articoli 9 e 19, in buona sostanza, sarebbe in questo: mentre nel primo caso la variante è efficace in misura precedente l’approvazione del progetto definitivo dell’opera, nel secondo caso la variante risulta approvata contemporaneamente al progetto definitivo “regalando” all’autorità espropriante piú tempo per portare a termine il proprio cimento.

Il mutamento di destinazione d’uso sopraggiunto coll’approvazione della variante (III soluzione) o del progetto definitivo (IV soluzione) inibirebbe la possibilità di concedere delle proroghe agli interessati, ‘cristallizzando’ finalmente la situazione e dando (sempre a parere del sottoscritto!) una maggiore stabilità formale alla procedura espropriativa.



POST SCRIPTUM. Nel corso di questo messaggio sono stati effettuati diversi cenni alla “variante” di un piano urbanistico vigente. Essa, in particolare, va intesa come una modifica (parziale o generale) all’assetto territoriale di un Comune ovvero alle norme locali che ne disciplinano la trasformazione.
Contrariamente a quello che nei paesini possono sostenere il Tizio e il Caio di turno, quindi, un ente locale ha sempre la possibilità di apporre delle variazioni alla pianificazione urbanistica vigente, senza neppure l’obbligo legale di una specifica motivazione.
La necessità (e comunque mai l’obbligo, si badi) di una giustificazione, tuttavia, si porrebbe solo nel momento in cui la variante andasse a modificare le destinazioni d’uso di terreni verso cui già esistono delle specifiche aspettative da parte dei possidenti; per i piani di lottizzazione approvati, ad esempio, varrebbe unicamente se pure la successiva convenzione risultasse già approvata, (Consiglio di Stato, sez. VI, decisione n. 173 del 14 Gennaio 2002 ----- https://www.giustizia-amministrativa.it ... qkkcvm.pdf).
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POST 39.4 – Due ipotesi, una espropriativa e l’altra non espropriativa, per il terreno dove ora sorge la nuova chiesa della “Madonnella”

Nel POST 35 (pag. 8 della corrente discussione), il sottoscritto ha ipotizzato l’abbattimento della recentissima chiesa della ‘Madonnella’ nell’ottica di una riconversione fondiaria della sezione omogenea in cui è stata fatta rientrare (orti urbani). A riguardo, però, va adesso precisato che il comma 4 dell’art. 4 del DPR n. 327 del 2001 presuppone l’esistenza di gravi motivi e l’adozione di accordi coll’autorità cattolica di turno onde poter procedere anzitutto coll’espropriazione per pubblica utilità da parte dell’Amministrazione Municipale.

Come si potrebbe agire, allora? Partendo dalla premessa che una “chiesa in piú” rappresenta un inutile caso di urbanizzazione nell’ambito di un tenimento locale già dotato di luoghi di preghiera cattolici anche molto ampi (parrocchie San Pietro Apostolo e SS. Trinità, a cui vanno aggiunte le cappelle dell’Addolorata, di Santa Caterina e di San Filippo) e già abbondantemente esposto a fenomeni di consumo di suolo vergine, l’autore non riesce che a immaginare due scenari alternativi.

Il primo verterebbe sull’espropriazione propriamente intesa a vantaggio del Comune di Parete, l’abbattimento e la riconversione a suolo agricolo, cioè a orto.

Il secondo nulla avrebbe a che fare coll’espropriazione, ma col "buon senso", il "senso logico" e il "senso del limite" del soggetto ecclesiastico il quale manterrebbe la proprietà fondiaria in cambio dell’eliminazione dell’edificio, la permeabilizzazione dei suoli interessati e la cessione in affitto dei terreni a chi ne facesse richiesta nel pieno rispetto della qui auspicata destinazione fondiaria. A tal fine, il Comune di Parete potrebbe esercitare una sorta di “moral suasion” nei riguardi del clero, magari coll’appoggio dell’opinione pubblica del posto, ponendo l’accento sui benefici ideali e non legati al mutamento dell’attuale situazione.
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POST 40 – Mutamenti del territorio comunale di Parete (CE). PROPOSTE DEL SOTTOSCRITTO VOLTE A RILANCIARE IL PAESE COME ENTITÀ FISICA, COME CENTRO DI VERA PRODUZIONE ECONOMICA E COME PATRIMONIO IMMATERIALE RICONOSCIBILE DAGLI ALTRI. Il vasto riordino urbanistico: rimandi alla Costituzione Italiana per giustificare l’espropriazione per pubblica utilità

Nei messaggi 39.1, 39.1 bis, 39.2, 39.3 e 39.4, è stato sostanzialmente scritto che il riordino urbanistico di non poche sezioni di Parete dovrebbe avvenire anche attraverso un particolare strumento giuridico: l’espropriazione per pubblica utilità.

A questo punto è però necessario ricordare che cosa indica il concetto di pubblica utilità. Ebbene, già un semplice giro sul web permette di immaginare una situazione in cui viene perseguito il miglioramento delle condizioni della collettività e quindi di ogni singola persona che ne fa parte. Di conseguenza, l’espropriazione per pubblica utilità è propedeutica al raggiungimento di un assetto territoriale che determina per ciascun uomo e ciascuna donna un passo in avanti sia in termini pratici sia di benessere psicologico e fisico.

Onde dimostrare che la proposta di espropriazione per pubblica utilità di tutti quegli edifici paretani che si trovano in luoghi in contrasto con piú opportune destinazioni fondiarie non è stata pescata a caso fra le migliaia di leggi italiane, il sottoscritto vuole velocemente rimandare il lettore alla massima fonte giuridica del Paese: la Costituzione (http://www.governo.it/Governo/Costituzi ... ncipi.html), la norma a cui tutte le altre (nazionali e locali) debbono sottostare.

Nello specifico, non si può non partire dall’art. 42 che prevede esplicitamente l’espropriazione per pubblica utilità per motivi di interesse generale. Tale articolo è altresí assai importante poiché, pur ammettendo l’esistenza della proprietà privata, ne stabilisce un possibile godimento ‘limitato’ e rapportato alla funzione sociale che può assumere.

L’art. 44 è non meno diretto poiché rimanda testualmente ad un “razionale sfruttamento del suolo” e, quindi, alla possibilità di limitare ovvero bloccare ogni intento edificatorio.

L’art. 41 riconosce a sua volta l’iniziativa economica privata, ma, anche in questo caso, mai in un’ottica che possa andare a travalicare l’utilità sociale.

Tradotto in parole semplici: i tre articoli citati permettono l’esistenza di una proprietà privata e di una iniziativa economica, ma solo nell’ottica di un loro “incastro” all’interno di un contesto collettivo mirato al miglioramento. Pertanto, laddove ciò manchi, diventa pienamente motivata anche un’azione espropriativa.

Fra i “principi fondamentali” della Costituzione spicca, poi, quello legato alla tutela del paesaggio (art. 7) con quest'ultimo che può essere inteso come frutto dell'interazione Uomo-Natura (secondo quanto ricavabile esplicitamente dal comma 1 dell'art. 131 del Decreto Legislativo 42/2004 - http://www.altalex.com/index.php?idnot=33967#titolo3).
Specie con riferimento alla aree classificabili come agricole, allora, nulla esclude che tale tutela possa concretizzarsi sia in una mancata cementificazione sia nel recupero funzionale (per attività di semina e di raccolto delle derrate) dei segmenti inopportunamente sottoposti all’impermeabilizzazione.

L’art. 32 della Costituzione, infine, esplicitando il diritto alla salute individuale e collettiva, ricollega a quell’esigenza di benessere psicofisico che finora lo scrivente ha riassunto colla parola “vivibilità”.

Insomma, se è la stessa Suprema Norma a riconoscere la legittimità di un’azione espropriativa per pubblica utilità nei termini ipotizzati dal sottoscritto, diventa financo possibile sfruttare per il verso giusto (una volta tanto!!!!) il principio di autonomia degli enti locali stabilito dall’art. 5 della medesima Costituzione e procedere con l’applicazione della lettera a) del comma 1 dell’articolo 7 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001: «Il Comune può espropriare: le aree inedificate e quelle su cui vi siano costruzioni in contrasto con la destinazione di zona (…)».
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POST 40.1 – Una prima alternativa ASSOLUTAMENTE NON CONSIGLIATA alla procedura espropriativa: l’abbattimento per abusivismo edilizio attraverso procedura amministrativa

Per tutte le sette zone cosí come individuate dal sottoscritto nei POST 30 e 31 (“concentrazione” di attività supportanti l’agricoltura lungo il lato est della Circumvallazione; “concentrazione” di unità di servizi in via Bologna;) e dal 33 al 36 (zone agricole a est e a ovest di Parete; orti urbani lungo via della Repubblica; sezioni per allestimenti temporanei di carattere emergenziale o meno), nonché per la realizzazione dello scenario alternativo esposto nei POST 37 e segg. (ipotesi alternativa di riordino contraddistinta da una “concentrazione” di attività artigianali in corrispondenza dell’attuale rione 167), allo scopo di accorciare i tempi e/o contenere gli esborsi finanziari, il Comune di Parete potrebbe procedere semplicemente coll’individuazione e l’abbattimento degli immobili abusivi.

In linea generale, la procedura partirebbe coll’accertamento dell’opera abusiva da parte del competente ufficio comunale che, eventualmente, predisporrebbe la sospensione dei lavori e, soprattutto, ingiungerebbe la demolizione al proprietario dell’immobile. Trascorsi 90 giorni, se l’ordine non fosse nel frattempo eseguito, l’opera verrebbe acquisita al patrimonio dell’ente locale e sottoposta successivamente alla distruzione con spese sempre a carico del precedente possessore.

Malgrado il doppio citato vantaggio per l’amministrazione comunale paretana, tuttavia, il sottoscritto si sente di sconsigliare in modo assoluto il ricorso a codesta tipologia di azione anzitutto per due motivi. In primis, perché, in virtú di quanto scritto nel POST 14 bis (pag. 4 del corrente topic), il consumo di suolo "vergine" resta un problema concettualmente diverso da quello della mancanza o disattesa di una carta bollata. In secundis, perché lo scopo dovrebbe essere quello di riordinare urbanisticamente il territorio comunale e non quello di cacciare la gente a pedate nel sedere.

A questi vanno assommati altri inconvenienti di natura prettamente giuridica. Ad esempio, il proprietario dell’immobile abusivo potrebbe richiedere all’autorità comunale il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria, sfruttando quanto previsto dal comma 1 dell’art. 36 del citato D.P.R. n. 380 del 2001 (opera edilizia conforme alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione dello stesso sia al momento della presentazione della domanda). Vanno inoltre considerate le eventuali sentenze ostative agli abbattimenti da parte del giudice TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) ovvero dal Consiglio di Stato.

Infine, anche laddove potesse concretizzarsi l’ipotesi di abbattimento, va evidenziato il ruolo negativo giocabile dalla stessa amministrazione comunale. Ad esempio, in sede consiliare, essa potrebbe decidere di lasciare in piedi taluni immobili mutandone solo la destinazione, secondo lo scenario prospettato dal comma 5 dell’art. 31 del citato D.P.R. n. 380. Oppure essa potrebbe non dare semplicemente seguito alle demolizioni per ragioni politico-elettorali.
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POST 40.2 – Una seconda alternativa ASSOLUTAMENTE NON CONSIGLIATA alla procedura espropriativa: l’annullamento d’ufficio del permesso di costruire per “vizio” riconducibile al soggetto richiedente e per ragioni di interesse pubblico

Per tutte le sette zone cosí come individuate dal sottoscritto nei POST 30 e 31 (“concentrazione” di attività supportanti l’agricoltura lungo il lato est della Circumvallazione; “concentrazione” di unità di servizi in via Bologna;) e dal 33 al 36 (zone agricole a est e a ovest di Parete; orti urbani lungo via della Repubblica; sezioni per allestimenti temporanei di carattere emergenziale o meno), nonché per la realizzazione dello scenario alternativo esposto nei POST 37 e segg. (ipotesi alternativa di riordino contraddistinta da una “concentrazione” di attività artigianali in corrispondenza dell’attuale rione 167), allo scopo di accorciare i tempi e/o contenere gli esborsi finanziari, il Comune di Parete potrebbe imboccare una seconda via alternativa: l’annullamento d’ufficio del permesso di costruire per “vizio” riconducibile al soggetto richiedente e per ragioni di interesse pubblico (come, ad esempio, proprio l’integrità del territorio), secondo lo scenario desumibile dagli artt. 21 octies e 21 nonies delle Legge n. 241 del 1990, e successive modificazioni e integrazioni (http://www.bosettiegatti.eu/info/norme/ ... 0_0241.htm).

In parole povere (e, forse, ampiamente inesatte per i professionisti del settore), se un qualsiasi richiedente avesse ottenuto un permesso di costruzione perché ha indicato sulla carta una situazione diversa da quella reale (ad esempio, specificando che il proprio fondo si trovava in una zona edificabile quando quest’ultima non lo era), l’ente locale potrebbe procedere coll’annullamento del medesimo atto e coll’ordine di abbattimento dell’immobile.

Difatti, l’annullamento del permesso di costruire genera una situazione simile a quella della vera e propria mancanza del suddetto, essendo capace di innescare la stessa procedura accennata rapidamente nel precedente paragrafo. Ecco perché, malgrado il doppio citato vantaggio per l’amministrazione comunale paretana, il sottoscritto si sente di sconsigliare in modo assoluto il ricorso pure a codesta tipologia di azione.

In particolare, ai tre inconvenienti di natura giuridica e politico-amministrativa elencati sempre nel precedente paragrafo (concessione del permesso in sanatoria ai sensi dell’art. 36 del DPR n. 380/2001, sentenze ostative eventuali di TAR e Consiglio di Stato, ipotetica decisione del Consiglio Comunale di dare una pubblica destinazione agli immobili anziché abbatterli in virtú dell’art. 31 dello stesso DPR n. 380) è possibile aggiungerne altri due.

Il primo consiste nello scenario desumibile dall’art. 38 del DPR 380/2001: il responsabile dell’apposito ufficio comunale, accertando l’eventuale impossibilità di rimuovere il “vizio” o di procedere alla situazione di ripristino, potrebbe limitarsi ad applicare una sanzione pari al valore venale della parte abusivamente realizzata. Al versamento di quest’ultima, infatti, gli effetti giuridici sarebbero simili a quelli della concessione del permesso di costruzione in sanatoria, permettendo all’immobile di essere “recuperato” e vanificando l’intento demolitore che dovrebbe essere invece perseguito.

Il secondo ulteriore inconveniente di natura giuridica consiste nel possibile riconoscimento, dopo l’iter giudiziale, di un risarcimento nei confronti del soggetto interessato laddove fosse accertata la sua irresponsabilità, specie nel caso dell’abbattimento di grossi edifici. In poche parole, l’ente locale e lo stesso responsabile del provvedimento potrebbero essere costretti ad esborsare fortissime somme di denaro.
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POST 41 – Mutamenti del territorio comunale di Parete (CE). PROPOSTE DEL SOTTOSCRITTO VOLTE A RILANCIARE IL PAESE COME ENTITÀ FISICA, COME CENTRO DI VERA PRODUZIONE ECONOMICA E COME PATRIMONIO IMMATERIALE RICONOSCIBILE DAGLI ALTRI. Ipotesi alternativa di riordino: eventuale “concentrazione” artigianale in corrispondenza dell’attuale quartiere 167. Cenni a qualche altro accorgimento normativo

Nell’estremo, estremo, estremo (l’uso ripetuto tre volte dello stesso aggettivo non è casuale) caso in cui la realtà di Parete non potesse e/o volesse fare a meno di un’ipotetica “concentrazione” artigianale (nel senso di ‘produzione’ e ‘servizi’), viene ribadito il suggerimento di puntare su una localizzazione nell’attuale area 167, in modo anzitutto da contenere l’antropizzazione extragricola alla parte orientale del territorio comunale. Per gli ulteriori motivi espressi a suo tempo dal sottoscritto si rimanda al POST 37.2 (pag. 8 corrente discussione).

Le approvazioni di un Piano Urbanistico Comunale e di un Piano Attuativo, accompagnati inevitabilmente da un’attività espropriativa, in particolare, non potrebbero non essere seguite dall’adozione di qualche altro accorgimento normativo.

A riguardo, il ricorso a un vero e proprio bando di selezione potrebbe rappresentare un’interessante soluzione. Ciò malgrado, va ribadito quanto scritto proprio nel POST 37.2: dato che la “concentrazione” di attività prevalentemente artigianali non dovrebbe mai avere un carattere propulsivo, il meccanismo di scelta dovrebbe anzitutto privilegiare quelle unità che, eventualmente, ora si affacciano e sono destinate ad affacciarsi a stretto giro di posta sulla p.le 33 e sul lato ovest della Circumvallazione, sul prolungamento ovest di via della Repubblica e sulla strada p.le Tre Ponti, nonché sulle strade rurali Portella, Cupa e Vicinale della Rotonda. Di conseguenza, l’estensione ad altri soggetti probabilmente siti nella parte est del paese e ad altre aziende novelle varrebbe soltanto in un secondo momento e/o in ragione degli spazi forse ancora disponibili.

Tradotto in poche parole. Se il meccanismo di selezione si basasse sull’attribuzione di punteggi, sarebbe indispensabile attribuirne di piú a quelle attività che, ad esempio, ora appaiono localizzate a ovest della Circumvallazione.

Se valesse anzitutto il criterio di favorire l’ubicazione delle imprese sparigliate a occidente di Parete, poi, si potrebbe pensare anche alla definizione di oneri di urbanizzazione quanto piú bassi possibili, in modo da rendere maggiormente... digeribile un loro spostamento.

Infine, un ipotetico bando, sempre tenendo a mente le eventuali disposizioni normative in materia, dovrebbe prevedere anche una localizzazione regolata da affitti, allo scopo di scoraggiare una formazione di proprietari che, in numero cospicuo, potrebbero altrimenti tentare, in un modo o nell’altro, di favorire il cambiamento della destinazione d’uso: da artigianale ad altre non ‘opportunamente compatibili’ colla paventata riconversione fondiaria dell’attuale area 167.
Ultima modifica di Raffaele2012 il lunedì 17 agosto 2015, 13:26, modificato 3 volte in totale.

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POST 42 – Mutamenti del territorio comunale di Parete (CE). PROPOSTE DEL SOTTOSCRITTO VOLTE A RILANCIARE IL PAESE COME ENTITÀ FISICA, COME CENTRO DI VERA PRODUZIONE ECONOMICA E COME PATRIMONIO IMMATERIALE RICONOSCIBILE DAGLI ALTRI. Il vasto riordino urbanistico: suoli riconvertiti in “agricoli” nelle zone a est e ovest. Cenni a qualche altro accorgimento normativo

Nei POST 33 e segg. e nei POST 34 e segg. (pagg. 7 e 8 della corrente discussione), il sottoscritto ha esposto una serie di proposte riguardanti le “zone agricole” site rispettivamente a est e a ovest del tenimento paretano. Per entrambe, in particolare, è stata auspicata l’ipotesi di procedere a una serie di riconversioni fondiarie (abbattimento di stabili privati, ma non solo) onde accentuare la “integrità fisica” del territorio locale, consentire una possibile reale valorizzazione “economica” dei suoli e creare i presupposti per la completa trasmissione del “patrimonio immateriale” collegato a codesto paese.

Della necessità di approvare in primis un novello Piano Urbansitico Comunale, di avviare un’attività espropriativa e di proseguire con relativi Piani Attuativi è stato già scritto grosso modo in precedenza. Quindi si desidera aggiungere solo quanto segue.

Dopo un’eventuale ‘ruralizzazione’ delle sezioni o dei singoli punti ora urbanizzati, potrebbe rivelarsi utile l’adozione di un vero e proprio bando per assegnare, in modo definitivo o in affitto, i singoli appezzamenti. A riguardo, però, sarebbe utilissimo: 1) che le categorie di beneficiari fossero circoscritte a imprenditori esercitanti l’attività agricola a titolo principale; 2) impedire ogni cambio di destinazione fondiaria per almeno un certo numero di anni, ad esempio 50.
Ultima modifica di Raffaele2012 il domenica 16 agosto 2015, 18:03, modificato 4 volte in totale.

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:) :) :) :) :)

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POST 43 – Mutamenti del territorio comunale di Parete (CE). PROPOSTE DEL SOTTOSCRITTO VOLTE A RILANCIARE IL PAESE COME ENTITÀ FISICA, COME CENTRO DI VERA PRODUZIONE ECONOMICA E COME PATRIMONIO IMMATERIALE RICONOSCIBILE DAGLI ALTRI. Il vasto riordino urbanistico: ipotesi di sostegno finanziario

Un’azione di riordino urbanistico come quella delineata a cavallo dei POST 23 e 36 (pur volendo escludere lo scenario alternativo culminabile colla realizzazione di una “concentrazione” artigianale al posto dell’odierno rione 167) non potrebbe richiedere soltanto il ricorso a tutta una serie di accorgimenti normativi, ma, comprensibilmente, passerebbe anche attraverso un sostegno finanziario.

Su questo argomento, a onor del vero, il sottoscritto vorrebbe condividere molto di piú. Eppure, a causa delle sue non vastissime conoscenze e dell’esigenza di accelerare i tempi di esposizione, egli si limiterà a suggerire quanto segue.

Anzitutto, per condurre in maniera efficace un riordino urbanistico, l’Amministrazione Comunale di Parete potrebbe trovarsi nell’opportunità di destinare al proposto cimento una percentuale delle proprie entrate complessive.

Inoltre, facendo sempre leva sul proprio sistema di entrate, il Comune di Parete potrebbe ricorrere a due risorse specifiche: quelle derivanti dagli “oneri accessori” (contributo di costruzione, calcolato in percentuale sul valore dell’intervento da realizzare, e oneri di urbanizzazione primaria e secondaria) e quelle derivanti dalle sanatorie per le opere abusive.

Attenzione, però. L’accesso alla risorsa numero uno andrebbe perseguito in relazione ai lavori edilizi compatibili colle destinazioni d’uso di volta in volta individuate dall’autore e limitatamente alle seguenti aree: “pertinenze" del Palazzo Ducale e della chiesa San Pietro (POST 26); “centro storico Umberto I-Roma-Berlinguer-Municipio I e II” (POST 27); “Garibaldi-Magenta-Vittorio Emanuele fino a p.za del Popolo (POST 28); “fascia urbana restante” (POST 29, 29.1 e 29.2); “concentrazione” di attività supportanti l’agricoltura lungo il lato est della Circumvallazione (POST 30); “concentrazione” di unità di servizi nell’estremo nord di via Bologna (POST 31); insediamenti che, per il loro impatto dimensionale o per la loro peculiarità, possono rimanere a ovest del paese (POST 32 e 32.1).

Il conseguimento della risorsa numero due, invece, andrebbe ottenuto in relazione ai lavori edilizi solo delle aree: “Garibaldi-Magenta-Vittorio Emanuele II fino a p.za del Popolo”; “fascia urbana restante”; insediamenti che possono rimanere a ovest del paese.

Il perché di quanto suggerito per la seconda risorsa specifica è presto scritto. Da un lato, gli abusivismi, specie se in grado di accrescere le volumetrie, nelle “pertinenze” e nel “centro storico” sarebbero da considerare come degli episodi di abbruttimento architettonico a danno dei due edifici di rilievo del paese: il Palazzo Ducale e la chiesa San Pietro. Dall’altro lato, si tratta di escludere dalle sanatorie tutti quegli stabili ricadenti in aree (le due "concentrazioni", le due zone agricole, i proposti orti urbani, le sezioni per allestimenti temporanei) dove invece la repressione dell’eventuale fenomeno illegale potrebbe rappresentare un’alternativa (anche se sconsigliatissima dal sottoscritto) all’espropriazione per pubblica utilità di manufatti parzialmente o interamente abusivi.

Ci si rende tuttavia conto che le entrate finanziarie accennate sopra potrebbero non bastare. Di conseguenza, il Comune di Parete potrebbe ritrovarsi nella necessità di integrare le proprie risorse con altri stanziamenti erogati da enti esterni, ipotizzando financo il ricorso alla Cassa Depositi e Prestiti.
Attenzione, però. L’accesso ai soldi altrui potrebbe essere reso difficile dall’assenza di competenze e/o di specifici strumenti normativo/finanziari riconducibili agli organi terzi in materia di riordino urbanistico (almeno nei termini ipotizzati dal sottoscritto).

Comunque, specie per il riordino urbanistico nelle due zone agricole a est e a ovest del paese, nonché nelle sezioni adibibili ad orto urbano (leggasi o rileggasi i POST fra il 33 e il 35), una ‘scorciatoia’ fra le tante potrebbe consistere nel richiedere fondi in virtú di processi di bonifica ambientale. In buona sostanza, gli insediamenti extragricoli ora lí inopportunamente presenti (come ad esempio i fabbricati privati) potrebbe essere intesi come una forma di inquinamento. Ma anche in quest’ultima ottica occorrerebbe tenere a mente la precedenza eventualmente riservata ad altri siti.

In chiusura, va osservato che un’auspicabile voglia di riordinare il territorio comunale da parte dell’Amministrazione paretana in tempi rapidissimi renderebbe piú urgente la ricerca di denaro verso l’esterno e viceversa. Ciò malgrado, resta altrettanto vero che piú le fonti finanziarie sarebbero diversificate e/o cospicue, piú l’azione guadagnerebbe in capillarità.
Ultima modifica di Raffaele2012 il mercoledì 2 settembre 2015, 13:01, modificato 6 volte in totale.


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